Per il suo sguardo lucido e perspicace sull’ineguagliabile corpo di lavoro di Stanley Kubrick, Gregory Monro estrae una serie di clip d’archivio. Non è il regista ad essere al centro della maggior parte di essi, ma i suoi collaboratori, che testimoniano i suoi metodi esigenti. Jack Nicholson lo consacra “la quintessenza del perfezionismo”, Shelley Duvall si meraviglia del numero di riprese che richiedeva, Marisa Berenson ricorda le lunghe ore di allestimento a lume di candela naturale per Barry Lyndon, e Malcolm McDowell, sopravvissuto a numerose ferite durante i sette mesi di riprese di Arancia Meccanica, loda la spontaneità al momento di un vero artista. Sono tutti memorabili, i loro commenti sono illuminanti. Ma sono le parole dello stesso Kubrick, eloquenti e precise, che danno a questo documentario il suo impulso propulsivo.

Così come lui apprezzava gli ideali artistici rispetto alla prolificità – facendo solo 13 film in 46 anni, ma che dozzina! – Kubrick by Kubrick non mira a una visione d’insieme o a una cronologia esaustiva. È una distillazione, che procede organicamente piuttosto che organizzata per linee temporali. Nel suo breve tempo di durata porta il venerato, mitizzato e generalmente avverso alla stampa regista con i piedi per terra e a fuoco attraverso le interviste fatte da Kubrick al critico francese Michel Ciment. A volte la conversazione (ascoltata, non vista) si muove nell’ovvio; non c’è nulla di sconvolgente nell’insistenza di Kubrick sul fatto che il conflitto è un elemento necessario della narrazione e del processo di realizzazione del film. A volte l’incisività è elettrizzante, come quando si addentra nell’ombra junghiana o condanna il modo in cui i leader militari e gli intellettuali di Washington “hanno condotto la guerra come una campagna pubblicitaria”

Qualunque sia l’argomento, comunque, la sua chiarezza di pensiero e l’assoluta mancanza di pretese sono notevoli, il suo nativo Bronx risuona ancora in modo rinfrescante nella sua voce, anche dopo anni di vita da espatriato in Inghilterra. Egli devia costantemente le linee di domanda progettate per innescare un’auto-riflessione; il lavoro è ciò che conta per Kubrick, non la sua psiche. Forse è per questo che è stranamente eccitante sentire la fermezza con cui liquida il suo primo film, il dramma di guerra del 1953 Fear and Desire, come “arrogante, frivolo… fatto in modo incompetente e poco drammatico”. A un certo livello sembra la cosa più personale che dice. È certamente la più accesa. Come avrebbe potuto ripensare a Eyes Wide Shut non lo sapremo mai; il film uscì postumo, mesi dopo la morte di Kubrick nel 1999 a 70 anni.

Ciment ha goduto di un accesso raro e spesso esclusivo al regista, in particolare per quanto riguarda i suoi film degli anni ’70 e ’80: Arancia Meccanica, Barry Lyndon, Shining e Full Metal Jacket. Con due eccezioni degne di nota, Lolita e The Killing, anche le altre realizzazioni cinematografiche di Kubrick figurano in questo documentario. Monro ha realizzato il film con il supporto dello Stanley Kubrick Archive, e ha curato una bella selezione di clip e fotogrammi. C’è persino un assaggio del ritratto saggistico di un pugile realizzato dal regista nel 1951, il breve Day of the Fight, la cui intimità ed energia dinamica preannunciano l’estro cinematografico che verrà. Con un’offerta così ricca e le conversazioni Kubrick-Ciment che forniscono una potente componente audio, Monro avrebbe potuto costruire l’aspetto visivo del suo film interamente da materiale esistente, disposto da parete a parete. Ma il documentarista parigino, i cui soggetti leggendari hanno incluso Jerry Lewis e Calamity Jane, invece compie un intelligente salto creativo.

Apre le cose: In vari punti del doc visita una ricostruzione della stanza del futuro lontano della sequenza finale di 2001: Odissea nello spazio. All’interno della sua inquietante configurazione di decorazioni neoclassiche, colloca fogli unici dei film di cui si parla, così come oggetti di scena iconici: la macchina da scrivere di Shining, la sedia a rotelle del Dottor Stranamore, una maschera di Eyes Wide Shut. Questo spazio interno diventa una sorta di casa base per il film, un posto dove respirare e riflettere. È anche uno stand-in per il mistero della creatività e il suo rifiuto di essere ridotto a spiegazioni (o a teorie di cospirazione sui messaggi incorporati in Shining, esplorati nel divertentissimo Room 237). Il direttore della fotografia Rados?aw ?adczuk (The Nightingale) muove la sua macchina da presa attraverso il set reimmaginato con una sensazione sicura del suo potere inquietante come stazione di passaggio tra il mondo materiale e quello metafisico.

Su una nota più terrena, Monro rende omaggio all’abilità di Kubrick come fotoreporter, avendo iniziato il suo lavoro per Look quando era un adolescente prodigio (le sue foto per la rivista sono state il soggetto di una magnifica mostra la cui esposizione allo Skirball di Los Angeles si è chiusa proprio quando il mondo è andato in isolamento per il coronavirus). Kubrick ricorda quanto il direttore della fotografia di Spartacus, Russell Metty, fosse sconcertato dal suo interesse per la composizione dell’immagine e per l’impostazione delle riprese. Nel perseguire la sua idea di perfezione, ha sconcertato e frustrato molti dei suoi collaboratori creativi. Un barbuto Sterling Hayden racconta vividamente le sue lotte per realizzare Il Dottor Stranamore, definendolo “il momento peggiore che abbia mai avuto per un film”, ma senza un grammo di rancore verso Kubrick stesso. Il compositore Leonard Rosenman confessa di aver preso il regista per il collo dopo che lui e la sua orchestra furono chiamati a fare 105 riprese di un pezzo musicale per Barry Lyndon, notando ironicamente che “la seconda ripresa era perfetta”. Monro modella il miracolo con saggezza, senza imporre un “significato” a nulla di tutto ciò e dando il centro della scena al maestro stesso, un uomo per il quale il cinema era una questione di “fare miracoli”. L’ineffabile qualcosa che Kubrick cercava potrebbe essere sfuggito a molte delle persone con cui ha lavorato, ma in una forma abbagliante dopo l’altra, è riuscito a metterlo sullo schermo.

Case di produzione: Temps Noir, Arte France, Telemark
Direttore: Gregory Monro
Basato sulle interviste di Michel Ciment
Produttori: Martin Laurent, Jeremy Zelnik
Direttore della fotografia: Rados?aw ?adczuk
Production designer: Natalia Melak
Editore: Philippe Baillon
Musica: Vincent Theard
Luogo: Tribeca Film Festival (Spotlight Documentary)
Vendite internazionali: Mediawan

73 minuti

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