Il Codice di diritto canonico per la Chiesa latina, incorporando molte delle riforme del Vaticano II, fu promulgato il 25 gennaio 1983 da papa Giovanni Paolo II. La costituzione apostolica Sacrae disciplinae leges ha descritto le procedure e i principi guida della revisione. Un testo parallelo fu proposto anche per le Chiese cattoliche orientali.

Preparazione. Annunciato il 25 gennaio 1959 da Papa Giovanni XXIII, e intrapreso seriamente nel 1966 dopo la conclusione del Vaticano II, il compito di revisione ha attraversato quasi un quarto di secolo. Nel 1971, la commissione ha iniziato a distribuire bozze di testi per commenti e osservazioni. La bozza della Lex ecclesiae fundamentalis (LEF), o Legge fondamentale della Chiesa, fu la prima inviata allo studio; fu seguita da un testo sulla procedura amministrativa. In seguito, furono distribuiti a intervalli regolari schemi su crimini e pene, diritto sacramentale e procedure per la protezione dei diritti. Nel 1978, le parti rimanenti del codice proposto furono stampate e distribuite. Dopo aver esaminato tutti i commenti, fu preparata una versione consolidata della legge (1980) per i membri della commissione. Le loro osservazioni furono poi incorporate in una relatio (relazione), distribuita nel 1981, che divenne la base del lavoro durante la sessione plenaria finale della commissione tenutasi nell’ottobre del 1981. In questa riunione, un certo numero di questioni importanti sulle quali mancava l’unanimità generale sono state selezionate per la discussione. Queste includevano le norme sui tribunali matrimoniali, la condivisione della giurisdizione da parte dei laici e l’appartenenza alle società massoniche. La commissione fu anche chiamata ad affrontare circa 30 questioni aggiuntive proposte dai membri.

Una versione finale del testo fu presentata nel 1982 a Papa Giovanni Paolo II. Con l’assistenza di un comitato ristretto, egli esaminò la bozza, invitò ulteriori suggerimenti dalle Conferenze Episcopali, e alla fine introdusse una serie di modifiche aggiuntive alla luce dei suggerimenti ricevuti. Il testo finale fu poi debitamente promulgato. Contrariamente alle norme in vigore sotto il codice del 1917, le traduzioni del nuovo codice erano permesse, e secondo le norme speciali emanate dalla Segreteria di Stato, il 28 gennaio 1983, tali testi devono essere approvati dalle Conferenze Episcopali, non dalla Santa Sede. Solo la versione promulgata in latino, però, è considerata autentica. Sono state pubblicate traduzioni in varie lingue, comprese due diverse traduzioni inglesi; una approvata dalla Conferenza Episcopale nel Regno Unito e l’altra dalla Conferenza Nazionale dei Vescovi Cattolici negli Stati Uniti.

Il 2 gennaio 1984, Papa Giovanni Paolo II, con il motu proprio intitolato Recognito iuris canonici codice, ha istituito la commissione pontificia per l’interpretazione autentica del Codice di Diritto Canonico, sotto la presidenza dell’allora arcivescovo (poi cardinale) Rosalio Castillo Lara, SDB. La commissione ha consegnato la sua prima interpretazione autentica il 26 giugno 1984. Quando la Pontificia Commissione per la revisione del Codice terminò il suo lavoro e fu sciolta, la Commissione per l’Interpretazione del Codice assunse la responsabilità della pubblicazione delle Communicationes.

Piano. Invece di seguire il piano del codice del 1917 che si modellava strettamente su quello del diritto civile romano (Norme generali, Persone, cose, processi, crimini e pene), il codice del 1983 segue un modello basato sulla triplice missione della Chiesa: insegnare, santificare e servire. Il codice è ora diviso in sette libri: I. Norme generali; II. Il popolo di Dio; III. La funzione di insegnare; IV. La funzione di santificare; V. I beni temporali; VI. Delitti e pene; VII. Procedure. Mentre i libri III e IV trattano della missione profetica (Parola) e sacerdotale (Sacramento) della Chiesa, nessun libro specifico tratta la missione reale, quella di governare; piuttosto, queste norme si trovano nelle restanti parti del codice.

Durante il processo di revisione, ci fu la questione di un altro libro, la Legge Fondamentale della Chiesa, che si applicasse ugualmente ai cattolici di rito latino e orientale. L’opposizione a un tale documento era però forte, a causa del rischio di esprimere la dottrina in forma legislativa; si decise quindi di non procedere in questo momento alla promulgazione della LEF. A causa di ciò, un certo numero di norme generali dovettero essere incorporate nello stesso Codice di Diritto Canonico; tra queste c’erano quelle sui diritti e gli obblighi dei fedeli e molte di quelle che trattavano il papato, i concili ecumenici e altre questioni.

Due problemi particolari riguardanti il piano riguardavano il posto delle prelature personali e degli istituti di vita consacrata. Mentre le bozze avevano collocato le prelature personali all’interno dei canoni sulla Chiesa particolare, furono sollevate forti obiezioni contro questo per motivi teologici, e le prelature furono infine spostate nella prima parte (I fedeli cristiani) del Libro II, sotto un titolo distinto. Allo stesso modo, a un certo punto del processo fu proposto di mettere i canoni sugli istituti di vita consacrata accanto a quelli che trattano delle associazioni nella Chiesa. Di nuovo, per ragioni teologiche, il Libro II fu diviso in tre parti: i fedeli cristiani; la dimensione gerarchica della Chiesa; e gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, evidenziando così la dimensione carismatica della vita consacrata accanto alla dimensione gerarchica delle strutture della Chiesa. Questa nuova divisione fu ben accolta in generale.

La visione della Chiesa. Libro II, c. 204, inizia con il riconoscimento che la Chiesa è il popolo di Dio, comprendente tutti i battezzati. Il battesimo rende una persona membro della Chiesa e soggetto di diritti e doveri. Ma la Chiesa non è solo un popolo; è anche una comunità gerarchicamente organizzata. Così, il fattore unificante è la comunione ecclesiale con il successore di Pietro e i vescovi in comunione con lui. Il codice riconosce vari gradi di comunione (cc. 205; 844, ecc.). Altri cristiani, che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica, possono tuttavia partecipare ad alcuni sacramenti e sacramentali della Chiesa in virtù del loro Battesimo. Il tema della “comunione” è quello che lega insieme molte parti della legislazione; coloro che si pongono al di fuori della comunione ecclesiale sono conosciuti come “ex-comunicati” (c. 1331). La dimensione ecumenica della legge è evidente, in particolare l’inc. 11, che non estende più le leggi meramente ecclesiastiche a tutti i battezzati, ma limita la loro portata a coloro che sono stati battezzati nella Chiesa cattolica o ricevuti in essa. Molti altri canoni parlano dell’importanza di promuovere un vero ecumenismo (cc. 383; 755, ecc.). Il codice riconosce anche che le persone possono lasciare la Chiesa con un atto formale, con certe conseguenze nel diritto.

A un terzo livello, la comunione porta alla missione, poiché la Chiesa per sua natura è missionaria (c. 781). Questa missione è triplice: insegnare, santificare e servire. I laici, in virtù del loro Battesimo, sono chiamati a partecipare a tutte queste funzioni (c. 204). Il codice si concentra sul sacramento del Battesimo come fattore unificante, piuttosto che principalmente sul sacramento dell’Ordine. Queste tre missioni sono svolte attraverso l’apostolato. Il canone 298 enuncia sette possibilità di impegno apostolico: promuovere la perfezione della vita cristiana, il culto divino, insegnare la fede, l’evangelizzazione, le opere di pietà, le opere di carità, e animare il mondo con uno spirito cristiano. Queste possibilità sono state oggetto di ulteriore riflessione nelle riunioni del Sinodo dei Vescovi. Perché un’opera apostolica sia veramente tale, però, deve essere svolta in comunione con il vescovo diocesano (cfr. c. 675).

A un quinto livello, potremmo notare che l’apostolato presuppone un apostolo. In vari modi, il codice invita i chiamati all’apostolato a fare uno sforzo totale per condurre una vita santa (c. 210), a servire il Signore con un cuore indiviso (cc. 277; 599), ad essere modelli di santità (c. 387), e così via. In altre parole, non c’è un minimo; piuttosto, c’è un ideale verso cui tutti gli apostoli devono tendere.

Questa visione della Chiesa è completata dal riconoscimento del ruolo dello Spirito Santo come anima della Chiesa. In sette canoni ben scelti (cc. 206-879; 369-375; 573-605; 747), l’azione dello Spirito Santo è enfatizzata: il risveglio della fede individuale e la risposta, l’istituzione e la guida della gerarchia, la dimensione carismatica della vita della Chiesa e l’unità di insegnamento e dottrina.

Caratteristiche principali. Molti fattori distinguono il codice del 1983 dalla sua controparte del 1917. Nell’introduzione alla legislazione, Papa Giovanni Paolo II delinea una caratteristica specifica del codice: non a caso è “il documento legislativo fondamentale della Chiesa”, basato sul “patrimonio giuridico e legislativo della rivelazione e della tradizione”. Il codice, quindi, scaturisce dalla dottrina della Chiesa nel suo insieme. In effetti, ha più norme dottrinali della legge precedente. Come nel caso della LEF, tuttavia, c’è un rischio nell’applicare norme interpretative di diritto civile ai canoni del 1983. I canoni stessi, essendo più pastorali, sono necessariamente scritti in uno stile particolare; espressioni come “mostrare uno spirito apostolico”, “essere un testimone per tutti”, “agire con umanità e carità” (c. 383), “mostrare una speciale preoccupazione” (c. 384), essere “un esempio di santità”, “conoscere e vivere il mistero pasquale” (c. 385), e così via, non possono essere applicate letteralmente in tutti i casi. Piuttosto, il codice promuove un rinnovato atteggiamento del cuore e della mente, un atteggiamento che Papa Paolo VI ha richiesto quando ha parlato di un novus habitus mentis, una nuova mentalità. Altrimenti, per usare ancora le sue parole, il codice rischia di diventare semplicemente “un rigido ordine di ingiunzioni”. Il codice ha necessariamente una caratteristica giuridica, ma temperata dalla natura stessa della Chiesa. Infatti, le ultime parole del codice che affermano che la norma ultima è la salvezza delle anime – salus animarum, suprema lex (c. 1752), basate sul De lege di Cicerone (III 3.8) – esprimono chiaramente la differenza tra questa legge e altri codici che potrebbero a prima vista essere simili.

Un secondo carattere deriva da questo. Poiché il nuovo codice ha come uno dei suoi scopi fondamentali quello di tradurre gli insegnamenti del Vaticano II in termini di vita quotidiana per i cattolici, non è sorprendente trovare che molte delle prescrizioni conciliari sono ripetute testualmente nella legge. I vari decreti sono quindi una fonte importante di materiale. Poiché il codice attua il concilio, e non il contrario, è di primaria importanza tornare al contesto conciliare nel suo insieme per l’interpretazione della legge. Altrimenti, ci sarebbe il pericolo di ridurre il Vaticano II a quelle prescrizioni conservate per essere incorporate nel codice.

Una terza grande caratteristica della legislazione è la sua dipendenza da norme complementari. Un certo numero di canoni si riferisce esplicitamente a norme particolari che saranno elaborate dalla Santa Sede (cfr. cc. 335, 349, 569, 997, 1402, 1403, ecc.), norme che sarebbero troppo dettagliate o mutevoli per essere collocate in un codice. Molti altri canoni fanno riferimento ai decreti delle Conferenze Episcopali (circa 100 in tutto), alle decisioni dei vescovi diocesani (circa 300), o infine al diritto proprio degli istituti di vita consacrata (circa 100 canoni). Ciò significa, in pratica, che quasi un terzo dei canoni permette un adattamento di qualche tipo a livello locale. Alcune Conferenze Episcopali hanno iniziato il compito di preparare questa legislazione complementare (cfr. c. 455). A livello diocesano, il processo si svolgerà di solito all’interno di un sinodo diocesano; per questo motivo, molte diocesi stanno attualmente organizzando sinodi per preparare la legislazione locale appropriata. Negli istituti religiosi e secolari, sebbene il compito di rivedere le costituzioni sia quasi completato, molti istituti stanno ora rivolgendo la loro attenzione a “codici” complementari o repertori specializzati (c. 587 n.4) per applicare la legislazione generale in modo più dettagliato.

Altre caratteristiche della legislazione rivista sono l’inclusione di una carta fondamentale dei diritti e dei doveri, la riconosciuta importanza della chiesa particolare, l’attuazione della consultazione a vari livelli, la flessibilità per promuovere la missione della Chiesa, un ruolo maggiore riconosciuto ai membri laici della Chiesa, e la responsabilità in materia finanziaria.

Ci sono, tuttavia, alcune debolezze nel codice (in particolare, alcune norme sulle procedure, un’insistenza forse troppo grande sulle dimensioni gerarchiche della vita della Chiesa, e una visione troppo cauta dei laici), ma queste sono di gran lunga superate dai vantaggi della nuova legislazione, in particolare la sua fedeltà al Vaticano II e il suo affidamento alla legislazione locale. Il codice, in quanto documento universale, lascia spesso la porta aperta a sviluppi futuri (cc. 129; 1055, ecc.). Attraverso questo codice e il Codice dei Canoni per le Chiese orientali, la Chiesa ha completato il grande compito di tradurre le intuizioni del Vaticano II in norme di condotta pratica, fornendo una base per un sano e ordinato sviluppo della Chiesa negli anni a venire.

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