L’interesse a capire perché gli esseri umani agiscono in un certo modo, cosa li spinge e cosa può fermarli, risale a tempi precedenti alla nascita della psicologia come scienza. Tuttavia, essenzialmente a partire dal 1879, cominciò a svilupparsi tutto un sistema categoriale che, sebbene non sia unico, è caratteristico della psicologia. In questo senso, il comportamento è forse uno dei termini più utilizzati dalle diverse scuole psicologiche, indipendentemente dal campo disciplinare a cui si fa riferimento. Tuttavia, la comprensione del comportamento come categoria psicologica è stata segnata dai dibattiti inerenti a una scienza in erba, presentando uno sviluppo complesso e non esente da oscurantismo metodologico. In questo momento sarebbe molto avventuroso posizionarsi in assiomi che delimitano il comportamento, ma è essenziale ridefinirlo nella prospettiva di una teoria integrativa ed euristica, in modo da ampliare i diversi approcci nell’ordine metodologico che sono attualmente utilizzati.

La parola comportamento, come la maggior parte dei termini utilizzati oggi nelle scienze psicologiche, proviene dalle scienze naturali in una trasposizione quasi lineare del suo significato originario. Vigotsky ha messo in guardia sulla genesi dei concetti psicologici: “Il linguaggio psicologico attuale è, soprattutto, insufficientemente terminologico: ciò significa che la psicologia non ha ancora un linguaggio proprio. Nel suo vocabolario troviamo un conglomerato di tre tipi di parole: parole del linguaggio quotidiano, parole del linguaggio filosofico e parole e forme prese in prestito dalle scienze naturali” (Vigotsky, 1997, 324). Naturalmente, la storia etimologica dei concetti segna, in qualche modo, la loro successiva definizione e uso, producendo generalmente restrizioni semantiche che sono molto difficili da eliminare. Forse il primo uso della parola comportamento è nell’ambito della chimica, dove si riferisce all’attività delle sostanze; in seguito, è stata usata in biologia, per alludere alle manifestazioni degli esseri viventi, il che ha portato a una comprensione limitata di questo concetto in psicologia, un fatto che è sostenuto proprio dal significato quasi identico con cui è stato introdotto in psicologia animale da Jennings.

A questo punto, ci si potrebbe chiedere perché questa parola ha raggiunto una tale reputazione nelle scienze psicologiche. In primo luogo, il comportamento comprende l’insieme dei fenomeni che sono osservabili o che è possibile rilevare, cioè è un concetto che, una volta applicato, può essere descritto e spiegato in termini di fenomeni stessi e ricorrendo a leggi di natura meccanicistica; L’uso di questo termine fornisce, dunque, l’agognata oggettività che si cercava nelle scienze psicologiche e soddisfa il desiderio quantificabile della maggioranza dei suoi professionisti, aggiungendo, inoltre, che è diventato un nome proprio nella denominazione di una delle scuole psicologiche che offriva un’opzione alla psicologia come scienza quando minacciava di chiudersi nel soggettivismo.

Etimologicamente, la parola condotta deriva dal latino che significa condotto o guidato; cioè, tutte le manifestazioni che sono comprese in se stesse presuppongono che siano condotte da qualcosa che potrebbe benissimo essere interno o esterno. Partendo da questa idea e dalle diverse soluzioni dedicate al problema psicofisico, il comportamento può essere guidato sia da fenomeni psichici che dall’influenza esercitata dall’ambiente sociale sul soggetto; da una prospettiva idealista si suggerisce che il comportamento sia il risultato di fenomeni psichici che si esprimono attraverso manifestazioni corporali nell’ambiente esterno in cui il soggetto si sviluppa. In contrasto con questa teoria, la concezione materialista afferma che il comportamento è il risultato dell’influenza sociale a cui il soggetto è sottoposto e che si esprime attraverso le condizioni psichiche del soggetto. Tuttavia, affidarsi all’uno o all’altro approccio minimizza la ricchezza e incapsula la comprensione che può fornire un termine che attualmente costituisce un punto di analisi primordiale per comprendere l’essere umano, essendo necessario esaminarlo nel suo proprio movimento e sviluppo attraverso le diverse posizioni psicologiche.

Comportamento e comportamento nel comportamentismo e nell’approccio storico-culturale

Anche se il comportamento è un termine molto usato in psicologia, il suo significato è generalmente inteso in modo semplicistico e unilaterale, e rimangono domande che meritano di essere analizzate: cos’è il comportamento umano? Qual è il determinismo che esercita sugli esseri umani e sul loro ambiente? Quali fattori determinano il comportamento umano? Esiste un’equivalenza tra i concetti di comportamento e comportamento?

Nel tentativo di ridefinire il comportamento o di fornire presupposti per la sua comprensione, è ineludibile analizzare l’approccio comportamentista come quello che ha dato un vero impulso al trattamento di questo termine in psicologia, a partire, fondamentalmente, dal 1913 con il lavoro di Watson, incorporando nozioni pionieristiche riguardo la comprensione e l’uso pratico del termine comportamento nella ricerca psicologica.

Il comportamentismo promulgava che la psicologia scientifica dovesse studiare solo le espressioni esterne del soggetto, quelle che potevano essere sottoposte a osservazione, registrazione e verifica; bisogna notare che questa idea poneva le sue basi negli studi condotti in precedenza da P. Janet e H. Pieron, che già nel 1908 parlavano di una psicologia del comportamento. In particolare, nell’opera di P. Janet, si incorpora il termine coscienza come forma specifica di comportamento e si descrive una gerarchia di operazioni comportamentali che comprende quattro gruppi fondamentali: comportamento animale, comportamento intellettuale elementare e comportamento medio e superiore. Più tardi, nelle ricerche di Watson, definì il comportamento come ciò che l’organismo fa o dice, includendo in questo termine sia l’attività esterna che interna, secondo la sua terminologia. Watson ha ridotto lo studio del comportamento alla struttura osservabile dell’essere umano: “(…) perché non fare di ciò che possiamo osservare il vero campo della psicologia? Limitiamoci all’osservabile e formuliamo leggi solo su queste cose. Ora, cos’è che possiamo osservare? Possiamo osservare il comportamento” (Tortosa, 1998, 301).

Per quanto riguarda questa idea, si dimostra la restrizione del pensiero watsoniano, il cui unico scopo era la previsione e il controllo del comportamento con metodi strettamente sperimentali, che segna contemporaneamente una connessione evidente con la psicologia animale, mentre dimostra la sua incapacità teorica di comprendere il comportamento umano complesso, poiché la sua base teorica si è ridotta alla psicologia comparativa. Tuttavia, questo non indica, come è stato divulgato anche negli ambienti psicologici, che il comportamentismo e persino Watson non riconoscevano altri aspetti della vita emozionale del soggetto: “Contrariamente a quanto è stato affermato in numerose occasioni, Watson non riduceva il comportamento unicamente all’attività motoria o ai movimenti, ma ammetteva anche l’esistenza di altri tipi di attività dell’organismo, come quella emozionale” (Parra, 2006). In altre parole, la principale critica che si può fare al comportamentismo classico è la sua fondamentale enfasi sull’osservabile, un fatto che limitava metodologicamente la sua comprensione dello psicologico a formazioni risultanti da una serie di risposte organismiche a influenze ambientali.

Naturalmente, l’elementarità di questa spiegazione comportamentale dell’essere umano ha portato allo sviluppo del neocomportamentismo. Nei primi anni 1930, Hull si avvicinò al comportamento sulla base della relazione stimolo-risposta, ma prendendo in considerazione non solo gli stimoli esterni, ma anche quelli interni, da cui la sua interpretazione del comportamento in sequenze stimolo-risposta osservabili e non osservabili. A quell’epoca la relazione psicofisica nel comportamento non era ancora stata completamente risolta, ma Hull riconobbe l’esistenza di qualcosa di interno e, sulla base di questo riconoscimento, cercò di quantificare i comportamenti per mezzo di osservazioni empiriche, dando origine a quello che è conosciuto come “il sistema di comportamento di Hull”.

Similmente, Skinner variò l’oggetto di studio della psicologia collocandolo nella vita mentale, ma limitò le analisi metodologiche alle manifestazioni visibili: il comportamento. Skinner elaborò la propria concezione in cui insisteva sulla distinzione tra il comportamento controllato dalle contingenze, cioè le interazioni dirette dell’organismo con il suo ambiente, e il comportamento governato da regole, cioè formulazioni verbali, comandi e/o istruzioni. Questa idea costituisce un pallido tentativo di dare un ruolo attivo al soggetto, che non sarebbe più una struttura immobile e immobile su cui agiscono istanze esterne, ma formerebbe un rapporto di interdipendenza con l’ambiente.

È importante notare che ancora oggi il termine comportamento è direttamente legato alla scuola comportamentista, sebbene il suo studio non si limiti a questa corrente, essendo anche oggetto di dibattito all’interno del resto degli approcci psicologici. Tuttavia, l’uso di questo termine tra i professionisti affiliati ad altre scuole di pensiero psicologico è stato controverso, essendo preferito il termine comportamento. Anche se al giorno d’oggi queste disquisizioni terminologiche sono poco utilizzate, dato che comportamento e condotta sono usati in modo intercambiabile, secondo Parra (2006): “in spagnolo il termine ‘comportamento’ può essere tradotto in entrambi i modi”. È valido affermare che la principale distinzione fatta nella letteratura spagnola riguardo a questi concetti si riferisce al fatto che il comportamento è un’espressione della personalità, mentre la condotta non sempre manifesta i contenuti personologici, possedendo un carattere più reattivo e quindi dando un ruolo più passivo al soggetto. È curioso come il comportamento abbia acquisito un significato che mostra un maggiore coinvolgimento del soggetto, un fatto legato all’etimologia della parola, anch’essa proveniente dal latino comportare, ma che significa coinvolgere, mentre la radice etimologica di condotta indica qualcosa di esterno, guidato.

Da questo punto di vista, l’uso dei termini condotta e comportamento non presentano differenze sostanziali, ciò che è veramente importante in questa analisi è la comprensione profonda di essi come fattore di diversa influenza sull’essere umano e allo stesso tempo espressione dello stesso. In questo senso, la scuola storico-culturale può fornire, a partire dalla diversità teorica dei suoi autori, dei presupposti fondamentali per la comprensione di un fenomeno complesso.

È fondamentale sottolineare le idee di Rubinstein in questo senso. Basandosi sulla soluzione del dilemma psicofisico, in cui tratta dell’interdipendenza dei fenomeni fisici e psichici, afferma che il comportamento, al di là della relazione riduzionista stimolo-reazione, è determinato dal mondo esterno attraverso i fenomeni psichici; vale a dire, che anche quando i fattori sociali esercitano una grande influenza sul comportamento umano, questo nasce e si sviluppa nell’attività psichica del soggetto, diventando successivamente un riflesso della stessa. Bisogna sottolineare la denominazione che Rubinstein usa per descrivere il modo in cui il fattore sociale agisce sul comportamento: “in modo mediato”, e in questa espressione scredita l’immediatezza del rapporto causa-effetto.

In un’analisi più profonda della partecipazione attiva di altri significati nel comportamento, questo autore sottolinea l’importanza della storia di vita del soggetto: “…il comportamento delle persone è determinato non solo da ciò che è presente, ma anche da ciò che è assente in un dato momento; è determinato non solo dall’ambiente immediato che ci circonda, ma anche da eventi in angoli lontani del mondo, nel momento presente, nel passato e nel futuro” (Rubinstein, 1979, 330). Cioè, il comportamento si sviluppa all’interno di una successione di atti in cui il soggetto è inserito, intervenendo congiuntamente le esperienze dell’ambiente sociale in cui l’uomo è integrato, anche quando non ne è stato partecipe, perché attraverso il processo di apprendimento include queste nuove conoscenze ed esperienze storico-culturali nella sua vita personale. In accordo con questo afferma: “Ogni atto di cognizione costituisce, allo stesso tempo, un atto in virtù del quale mettiamo in azione nuove determinanti del nostro comportamento” (Rubinstein, 1979, 330); quindi considera il processo di apprendimento come un processo di sviluppo del comportamento, poiché dall’acquisizione di nuovi significati il soggetto acquisirà per ogni oggetto o fenomeno un nuovo significato che definirà la successiva relazione con essi; così, gli oggetti di conoscenza appariranno non solo come oggetti di conoscenza, ma anche come motori del comportamento.

In linea con queste idee, Petrovski sottolinea il carattere storico del comportamento: “Il comportamento dell’uomo è caratterizzato dalla sua capacità di astrarre da una data situazione concreta e di anticipare le conseguenze che possono sorgere in relazione a questa situazione” (Petrovski, 1982, 68). Alla base di questi approcci, che oggi possono essere considerati dei truismi, c’è un aspetto essenziale per la comprensione del comportamento: la dualità che si manifesta in esso, in quanto non è solo un’espressione fenomenica ma contiene anche lo psichico; è un processo profondamente mediato che nella sua multideterminazione agisce anche come autodeterminante.

Tuttavia, il carattere contraddittorio del comportamento non ha continuato ad essere elaborato in questa linea di pensiero, ed è stato successivamente indirizzato verso la classificazione del comportamento su due livelli principali: comportamenti inconsci, che si basano su condizioni biologiche di esistenza e che si formano nel processo di adattamento dell’organismo al suo ambiente, e comportamenti coscienti, che si basano su forme storiche di esistenza, formate nel processo di attività e che a loro volta modificano l’ambiente in cui il soggetto si sviluppa (Rubinstein, 1979).

Petrovski classifica il comportamento prendendo in considerazione i diversi stadi di sviluppo attraverso i quali passa: all’inizio lo chiama comportamento impulsivo – limitato al semplice comportamento difensivo innato; nel corso del primo anno di vita, quando cominciano a formarsi gli impulsi condizionati, appare il comportamento investigativo – accumulo di informazioni sulle proprietà del mondo esterno; dal primo anno in poi e sotto l’influenza dell’educazione impartita al bambino, emerge il comportamento pratico – legato all’assimilazione dei metodi umani di utilizzo degli oggetti e al loro significato nella società. Collegato a questi comportamenti c’è lo sviluppo del comportamento comunicativo – legato alla comunicazione del bambino con il suo ambiente attraverso forme pre-verbali, permettendo lo scambio di informazioni; e infine, in seguito alla maturazione di quest’ultimo c’è il comportamento verbale – direttamente legato al linguaggio, creando le premesse per la distinzione del significato degli oggetti. Queste tipologie costituiscono un tentativo di spiegare il passaggio dagli atti più istintivi all’autoregolazione comportamentale.

In queste categorizzazioni i processi istintivi di consapevolezza sono giustapposti in un certo modo, la dicotomia è nuovamente posta, questa volta da un punto di vista diverso, l’esterno e l’interno. Il comportamento è ancora inteso come espressione dello psichico, dell’interno; tuttavia, bisogna capire che “il comportamento non è solo il modo di esistere, è l’esistenza stessa, è l’unica forma di esistenza” (Calviño, 2000: 116). In una posizione più integrativa, è necessario comprendere lo psicologico in tre casi: (a) una dimensione psicodinamica, dove si evidenziano contenuti profondamente inconsci, dove si deve sottolineare che non per la loro impronta inconscia sono esenti dall’influenza dell’ambiente e della personalità stessa; (b) una dimensione personologica, dove si stabiliscono certe componenti che regolano abbastanza coscientemente il comportamento e costituiscono potenti mediatori per lo stesso sviluppo personologico, e (c) una dimensione interattiva o adattativa, dove emozioni, atteggiamenti, credenze, valori, sono contenuti e diventano palpabili nell’ambiente soggetto della relazione (vedi Calviño, 2000).

Tuttavia, la semplice enunciazione di queste istanze non risolve il problema, è necessario definire la loro interrelazione, perché solo nella prassi si può comprendere il funzionamento del comportamento umano. Queste istanze funzionano sul principio di unità, la loro relativa indipendenza e interdipendenza. Il fatto che ci siano tre istanze non implica il loro funzionamento esclusivo, ma che si basano sulle istanze precedenti e le contengono, ma allo stesso tempo sono in grado di funzionare con una certa libertà. Questo carattere relativamente indipendente salva l’analisi comportamentale dai pregiudizi psicoanalitici dove la base di ogni comportamento si trovava nelle “intenzioni inconsce”, ma allo stesso tempo la libera dalla consapevolezza iperbolica. Il comportamento si esprime fondamentalmente nella dimensione interattiva, ma non si riduce ad essa, contiene le istanze precedenti, per cui la sua esternalizzazione è semplicemente una comprensione semplificata dello psicologico, ignorando gli altri mediatori. Il comportamento è, di per sé, una categoria complessa che richiede la comprensione di altre istanze psicologiche per la sua analisi.

Definizione del comportamento

Ci sono molteplici concettualizzazioni del comportamento sotto diversi approcci psicologici, probabilmente la più popolare è la definizione watsoniana menzionata sopra, che include tutte quelle espressioni del soggetto, sia interne che esterne. In linea con questa idea, Bayés (1978) la intende come tutta l’attività dell’organismo nel mondo fisico. Da queste prospettive, anche le risposte atto-riflesse dell’organismo possono essere incluse nella definizione di comportamento. Tuttavia, nel tentativo di rendere questa categoria un po’ più precisa, Ribes (1990) considera che non è la semplice azione dell’individuo ma la sua interazione con l’ambiente, la relazione interdipendente che si stabilisce. Da questi punti di vista, ancora oggi il comportamento è trattato come un termine ambivalente che può includere qualsiasi risposta organismica o solo la relazione interdipendente e cosciente (Campo, 2005).

In una varietà di eclettismo concettuale, il comportamento è inteso come tutto ciò che l’individuo fa o dice indipendentemente dal fatto che sia osservabile o meno, includendo sia l’attività biologica che l’interrelazione dinamica del soggetto con l’ambiente (vedi Fernández, 2003).

Rubinstein (1967) analizza il comportamento come un’attività organizzata che permette la relazione individuo-mezzo. Nella sua concettualizzazione prevalgono le espressioni “attività organizzata” e “legame”; la prima proposizione suggerisce che il comportamento è una struttura istituita da diverse categorie stabilite in un certo ordine, con un’intenzione deliberatamente cosciente; la seconda propone un elemento di mediazione tra il soggetto e il suo ambiente dove esorta ad una interrelazione stabilita tra l’interno e l’esterno. Tuttavia, analizzando la sua teoria in profondità, si può osservare che egli riduce il comportamento all’attività del soggetto, con tutte le limitazioni metodologiche che il concetto di attività comporta.

Sarebbe necessario divagare a questo punto per dire che il comportamento è espressione dei bisogni, delle motivazioni, dei valori, degli ideali e degli interessi del soggetto non solo nel processo di attività, descritto da Leontiev Vigotsky, che mette in relazione diretta il soggetto con l’oggetto, ma anche nel processo comunicativo che mette in relazione il soggetto con gli altri intorno a lui. Questi valori, ideali e interessi possiedono una sfumatura ideale che, a sua volta, rende impossibile la loro esistenza oggettiva, finché non si riflettono attraverso il comportamento, poiché queste categorie possiedono un contenuto abbastanza personalizzato che non può essere dedotto dal loro significato, ma deve essere espresso attraverso il processo comunicativo o di attività.

Ritornando alle concettualizzazioni del termine comportamento, un punto di contatto dei vari autori è la comprensione di esso come espressione della psiche umana, cioè, è una manifestazione di tutti i processi psicologici interrelati, che non possono essere direttamente osservabili, ma sono mediati con l’ambiente attraverso di esso, evidenziando direttamente i fattori psicologici. Tuttavia, questa analisi contempla il comportamento come categoria esecutiva quando a sua volta svolge un ruolo inducente; un comportamento può innescare altri comportamenti, sensazioni, necessità di valore proprio perché nel corso dell’attività e della comunicazione il soggetto conosce le particolarità del suo ambiente, imprimendovi un senso personale che gli permetterà di diventare successivamente un soggetto differenziato nel gruppo sociale in cui vive.

Su questo processo Vigotsky descrive l’intero sviluppo dall’ontogenesi, suggerendo che gli atti riflessi sono l’unica proprietà oggettivamente definibile quando il bambino nasce, e saranno successivamente perfezionati fino a raggiungere le prime acquisizioni comportamentali attraverso le leggi del condizionamento. Precisa inoltre che la struttura del comportamento è immediatamente contestualizzata dalle pratiche che il bambino realizza attivamente insieme agli adulti che regolano il comportamento del bambino, costituendo con l’aiuto di mezzi culturalmente fabbricati uno spazio che incanala il suo sviluppo spontaneo. In questa descrizione Vigotsky introduce espressioni che, secondo lui, sono dinamicamente coinvolte in questo processo, termini come coscienza, linguaggio, intelligenza e processi cognitivi, il che suggerisce l’intenzione di interrelare i processi psicologici nel momento di stabilire uno scambio tra il soggetto e l’ambiente esterno (vedi Vigotsky, 1987).

In un tentativo integrativo si può riassumere che il comportamento è un’espressione individualizzata dell’istintivo, dell’inconscio e del personologico in un’integrazione interdipendente e relativamente autonoma che a sua volta gioca un ruolo induttivo.

Implicazioni metodologiche

L’attaccamento a definizioni ristrette o troppo inglobanti del comportamento porta a pregiudizi metodologici presupposti dalle stesse carenze teoriche con cui si affronta un processo complesso. Quindi, i giudizi concettualizzanti guidano generalmente la ricerca sui fenomeni studiati in modo univoco, quando sono affrontati da posizioni semplificatrici.

Comprendere il comportamento come un processo multi-mediato comporta una revisione metodologica di come è stato affrontato in diversi campi, scartando le analisi lineari tra espressioni comportamentali e contenuti psicologici; per esempio, un comportamento può essere basato su motivazioni diverse, mentre motivazioni simili possono dare origine a comportamenti dissimili.

Consapevoli della complessità che è intrinseca a questa categoria, si possono delineare alcune linee guida che costituiscono un approccio al funzionamento umano:

1. La comprensione del comportamento deve includere l’analisi delle motivazioni e dei bisogni del soggetto, poiché la mera strumentazione comportamentale costituisce un fatto isolato che non fornisce informazioni sufficientemente affidabili. Questa indagine è fondamentalmente incentrata sulla ricerca delle cause che originano il comportamento, la sua genesi.

2. La genesi comportamentale deve considerare anche le manifestazioni comportamentali proprie del soggetto, poiché queste, compresi gli stati corporei, possono inibire o promuovere il comportamento successivo.

3. Il comportamento, in quanto espressione della personalità, contiene anche interessi, atteggiamenti, valori, sensi che si trovano a mediare la manifestazione comportamentale, senza l’analisi dei quali la comprensione del soggetto sarebbe interrotta. La comprensione dell’unità cognitivo-affettivo-volitiva all’interno del comportamento gli conferisce logicità e dinamismo, anche se talvolta una dimensione può prevalere sulle altre in stretta corrispondenza con le esigenze dell’ambiente e le peculiarità della personalità.

4. In relazione alla natura relativamente logica del comportamento, e indipendentemente da ciò che sta accadendo nel qui e ora, esso contiene un’impronta prospettica, nella misura in cui esiste anche un piano comportamentale, come il soggetto si comporterà in certe situazioni o quello che si potrebbe chiamare lo schema di risposta prestabilito. Da questo punto di vista ci sono dei comportamenti che possono essere anticipati.

5. Il fattore socio-storico non può essere ignorato nell’approccio comportamentale. Ogni società stabilisce certi modelli di comportamento che vengono generalmente fatti propri dal soggetto. L’analisi contestuale permette una visione più completa ed esplicativa del comportamento nella misura in cui, anche quando esistono determinati contenuti psicologici, la loro espressione è mediata dall’ambiente in cui il soggetto è inserito.

La comprensione teorico-metodologica del comportamento è un processo che ha appena mosso i primi passi verso l’inclusione di concezioni che approcciano l’essere umano a partire dalla sua complessità e multideterminazione. Tuttavia, la chiusura di approcci semplicistici riduce il suo potenziale euristico, rendendo necessario studiarlo sulla base dell’unità e relativa indipendenza dei fattori sociali, biologici e psicologici.

Riferimenti

Bayés, R. (1978). Un’introduzione al metodo scientifico in psicologia. Barcellona: Fontanella.

Calviño, M. (2000). Orientamento psicologico. Esquema referencial de alternativa múltiple. L’Avana: Editorial Científico-Técnica.

Condotta (n/d). Recuperato da: http://www.elseminario.com.ar/comprimidos/Bleger_Psicologia_Conducta_II.doc., 20 luglio 2006.

Fernández, A. (2003). Comportamento. Recuperato da: http://www.conducta.org/articulos/comportamiento.htm, il 20 luglio 2006.

Rubinstein, S. L. (1967). Principi di psicologia generale. La Habana: Edición Revolucionaria.

Rubinstein, S. L. (1965). Essere e coscienza. Havana: Editorial Pueblo y Educación.

Tortosa, F. (1998). Una storia della psicologia moderna. Madrid: McGraw Hill.

Vigotsky, L. S. (1997). Opere selezionate. T I. Madrid: Visor.

Vigotsky, L. S. (1997).

Articles

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.