TERZO CONSIGLIO LATERANO (1179).- Il regno di Alessandro III fu uno dei pontificati più laboriosi del Medioevo. Allora, come nel 1139, l’obiettivo era quello di riparare i mali causati dallo scisma di un antipapa. Poco dopo essere tornato a Roma (12 marzo 1178) e aver ricevuto dai suoi abitanti il loro giuramento di fedeltà e alcune garanzie indispensabili, Alessandro ebbe la soddisfazione di ricevere la sottomissione dell’antipapa Callisto III (Giovanni di Struma). Quest’ultimo, assediato a Viterbo da Cristiano di Magonza, alla fine cedette e, a Tuscolo, fece la sua sottomissione a Papa Alessandro (29 agosto 1178), che lo ricevette con gentilezza e lo nominò governatore del Beneventum. Alcuni dei suoi ostinati partigiani cercarono di sostituire un nuovo antipapa, e scelsero un certo Lando Sitino, con il nome di Innocenzo III. Per mancanza di sostegno egli rinunciò presto alla lotta e fu relegato nel monastero di La Cava. Nel settembre del 1178, il papa, in accordo con un articolo della Pace di Venezia, convocò un concilio cecumenico in Laterano per la Quaresima dell’anno successivo e, con questo scopo, inviò dei legati in diversi paesi. Questo fu l’undicesimo dei concili cecumenici. Si riunì nel marzo del 1179. Il papa presiedeva, seduto su un trono elevato, circondato dai cardinali e dai prefetti, senatori e consoli di Roma. L’assemblea contava trecentodue vescovi, tra cui diversi prelati latini di sedi orientali. C’erano in tutto quasi mille membri. Nectarius, abate delle Cabule, rappresentava i greci. L’Oriente era rappresentato dagli arcivescovi Guglielmo di Tiro ed Eraclio di Cesarea, dal priore Pietro del Santo Sepolcro e dal vescovo di Betlemme. La Spagna inviò diciannove vescovi; l’Irlanda sei; la Scozia solo uno; l’Inghilterra sette; la Francia cinquantanove; la Germania diciassette; la Danimarca e l’Ungheria uno ciascuno. I vescovi d’Irlanda avevano a capo San Lorenzo, arcivescovo di Dublino. Il papa consacrò, alla presenza del concilio, due vescovi inglesi e due scozzesi, uno dei quali era venuto a Roma con un solo cavallo, l’altro a piedi. Era presente anche un vescovo islandese che non aveva altro reddito che il latte di tre mucche, e quando una di queste si seccava la sua diocesi gliene forniva un’altra.
Oltre a sterminare i resti dello scisma, il concilio intraprese la condanna dell’eresia valdese e il ripristino della disciplina ecclesiastica, che era stata molto allentata. Si tennero tre sessioni, il 5, il 14 e il 19 marzo, nelle quali furono promulgati ventisette canoni, i più importanti dei quali possono essere riassunti come segue: Canone i: Per prevenire scismi in futuro, solo i cardinali dovrebbero avere il diritto di eleggere il papa, e due terzi dei loro voti dovrebbero essere richiesti per la validità di tale elezione. Se qualche candidato, dopo essersi assicurato solo un terzo dei voti, dovesse arrogarsi la dignità papale, sia lui che i suoi partigiani dovrebbero essere esclusi dall’ordine ecclesiastico e scomunicati. Canone ii: Annullamento delle ordinazioni eseguite dagli eresiarchi Ottaviano e Guido di Crema, nonché di quelle di Giovanni di Struma. Coloro che hanno ricevuto dignità o benefici ecclesiastici da queste persone sono privati degli stessi; coloro che hanno liberamente giurato di aderire allo scisma sono dichiarati sospesi. Canone iii: È proibito promuovere qualcuno all’episcopato prima dei trent’anni. Decanati, arcidiaconati, cariche parrocchiali e altri benefici che comportino la cura delle anime non possono essere conferiti a chi ha meno di venticinque anni. Il canone iv regola il seguito dei membri dell’alto clero, le cui visite canoniche erano spesso rovinose per i preti rurali. D’ora in poi lo strascico di un arcivescovo non deve comprendere più di quaranta o cinquanta cavalli; quello di un vescovo, non più di venti o trenta; quello di un arcidiacono, cinque o sette al massimo; il decano deve averne due. Il canone v vieta l’ordinazione di chierici non provvisti di un titolo ecclesiastico, cioè di mezzi di sostentamento adeguati. Se un vescovo ordina un sacerdote o un diacono senza assegnargli un titolo certo su cui possa sussistere, il vescovo dovrà fornire a tale chierico dei mezzi di sostentamento finché non potrà assicurargli una rendita ecclesiastica, cioè se il chierico non può sussistere con il suo solo patrimonio. Il canone vi regola le formalità delle sentenze ecclesiastiche. Il canone vii proibisce l’esazione di una somma di denaro per la sepoltura dei morti, la benedizione del matrimonio e, in generale, per l’amministrazione dei sacramenti. Canone viii: I patroni dei benefici devono nominare a tali benefici entro sei mesi dal verificarsi di una vacanza. Il canone ix richiama gli ordini militari dei Templari e degli Ospedalieri all’osservanza delle norme canoniche, dalle quali le chiese da essi dipendenti non sono in alcun modo esenti. Il canone xi proibisce ai chierici di ricevere donne nelle loro case, o di frequentare, senza necessità, i monasteri di monache. Il canone xiv proibisce ai laici di trasferire ad altri laici le decime che possiedono, sotto pena di essere esclusi dalla comunione dei fedeli e privati della sepoltura cristiana. Il canone xviii prevede l’istituzione in ogni chiesa cattedrale di una scuola per i chierici poveri. Canone xix: Scomunica rivolta a coloro che riscuotono contributi sulle chiese e sugli ecclesiastici senza il consenso del vescovo e del clero. Canone xx: proibizione dei tornei. Il canone xxi riguarda la “Tregua di Dio”. Il canone xxiii riguarda l’organizzazione di manicomi per i lebbrosi. Il canone xxiv consiste in una proibizione di fornire ai Saraceni materiale per la costruzione delle loro galere. Il canone xxvii impone ai principi la repressione dell’eresia.
QUARTO CONSIGLIO LATERANO (1215) – Fin dall’inizio del suo regno Innocenzo III si era proposto di riunire un concilio ecumenico, ma solo verso la fine del suo pontificato poté realizzare questo progetto, con la bolla del 19 aprile 1213. L’assemblea doveva aver luogo nel novembre 1215. Il concilio si riunì infatti l’11 novembre, e le sue sessioni furono prolungate fino alla fine del mese. Il lungo intervallo tra la convocazione e l’apertura del concilio, così come il prestigio del pontefice regnante, furono responsabili del gran numero di vescovi che vi parteciparono; esso viene comunemente citato nel diritto canonico come “il Concilio Generale del Laterano”, senza ulteriori qualificazioni, o, ancora, come “il Grande Concilio”. Innocenzo III si trovò in questa occasione circondato da settantuno patriarchi e metropoliti, compresi i patriarchi di Costantinopoli e di Gerusalemme, quattrocentododici vescovi e novecento abati e priori. I patriarchi di Antiochia e di Alessandria erano rappresentati da delegati. Inviati si presentarono dall’imperatore Federico II, da Enrico, imperatore latino di Costantinopoli, dai re di Francia, Inghilterra, Aragona, Ungheria, Cipro e Gerusalemme, e da altri principi. Il papa stesso aprì il concilio con una allocuzione le cui alte vedute superavano la capacità di espressione dell’oratore. Aveva desiderato, disse il papa, celebrare questa Pasqua prima di morire. Si dichiarò pronto a bere il calice della Passione per la difesa della Fede Cattolica, per il soccorso della Terra Santa e per stabilire la libertà della Chiesa. Dopo questo discorso, seguito da un’esortazione morale, il papa presentò al concilio settanta decreti o canoni, già formulati, sui punti più importanti della teologia dogmatica e morale. Furono definiti i dogmi, decisi i punti della disciplina, elaborate le misure contro gli eretici e, infine, regolate le condizioni della prossima crociata.
I padri del concilio fecero poco più che approvare i settanta decreti loro presentati; questa approvazione, tuttavia, bastò a conferire agli atti così formulati e promulgati il valore di decreti ecumenici. La maggior parte di essi sono piuttosto lunghi e sono divisi in capitoli. I seguenti sono i più importanti: Canone i: Esposizione della Fede Cattolica e del dogma della Transustanziazione. Canone ii: Condanna delle dottrine di Gioacchino di Flora e di Amaury. Canone iii: Procedura e pene contro gli eretici e i loro protettori. Canone iv: Esortazione ai Greci a riunirsi alla Chiesa Romana e ad accettare le sue massime, affinché, secondo il Vangelo, ci sia un solo ovile e un solo pastore. Canone v: Proclamazione del primato papale riconosciuto da tutta l’antichità. Dopo il papa, il primato è attribuito ai patriarchi nel seguente ordine: Costantinopoli, Alessandria, Antiochia, Gerusalemme. (Basterà ricordare al lettore quanto a lungo un’opposizione abbia preceduto a Roma questo riconoscimento di Costantinopoli come seconda in grado tra le sedi patriarcali). Canone vi: I consigli provinciali devono essere tenuti annualmente per la riforma dei costumi, specialmente quelli del clero. Canone viii: Procedura per le accuse contro gli ecclesiastici. Fino alla Rivoluzione francese, questo canone ebbe una notevole importanza nel diritto penale, non solo ecclesiastico ma anche civile. Canone ix: Celebrazione del culto pubblico in luoghi dove gli abitanti appartengono a nazioni che seguono riti diversi. Il canone xi rinnova l’ordinanza del concilio del 1179 sulle scuole gratuite per i chierici in connessione con ogni cattedrale. Canone xii: Gli abati e i priori devono tenere il loro capitolo generale ogni tre anni. Il canone xiii proibisce l’istituzione di nuovi ordini religiosi, per evitare che una diversità troppo grande porti confusione nella Chiesa. Canoni xiv-xvii: Contro le irregolarità del clero: incontinenza, ubriachezza, caccia, partecipazione a farse ed esibizioni istrioniche. Canone xviii: Ai sacerdoti, diaconi e suddiaconi è proibito eseguire operazioni chirurgiche. Canone xix: si proibisce la benedizione dell’acqua e del ferro rovente per le prove giudiziarie o i processi. Canone xxi, il famoso “Omnis utriusque sexus”, che comanda ad ogni cristiano che abbia raggiunto l’età della discrezione di confessare tutti i suoi peccati almeno una volta all’anno al proprio prete (cioè alla parrocchia). Questo canone non ha fatto altro che confermare la legislazione e la consuetudine precedenti, ed è stato spesso, ma erroneamente, citato come se ordinasse per la prima volta l’uso della confessione sacramentale. Canone xxii: Prima di prescrivere ai malati, i medici devono essere tenuti, sotto pena di esclusione dalla Chiesa, ad esortare i loro pazienti a chiamare un sacerdote, e così provvedere al loro benessere spirituale. I canoni xxiii-xxx regolano le elezioni ecclesiastiche e la collazione dei benefici. Canoni xxvi, xliv e xlviii: Procedura ecclesiastica. Canoni 1-lii: Sul matrimonio, gli impedimenti di parentela, la pubblicazione dei bandi. Canoni lxxviii, lxxix: Gli ebrei e i maomettani devono indossare un abito speciale che permetta loro di essere distinti dai cristiani. I principi cristiani devono prendere misure per prevenire le bestemmie contro Gesù Cristo. Il concilio, inoltre, stabilì regole per la progettata crociata, impose una pace di quattro anni a tutti i popoli e principi cristiani, pubblicò indulgenze e ingiunse ai vescovi di riconciliare tutti i nemici. Il concilio confermò l’elevazione di Federico II al trono di Germania e prese altre importanti misure. I suoi decreti furono ampiamente pubblicati in molti concili provinciali.
QUINTO CONSIGLIO LATERANO (1512-17).-Quando fu eletto papa, Giulio II promise sotto giuramento che avrebbe presto convocato un concilio generale. Il tempo passò, tuttavia, e questa promessa non fu mantenuta. Di conseguenza, alcuni cardinali insoddisfatti, sollecitati anche dall’imperatore Massimiliano e da Luigi XII, convocarono un concilio a Pisa e fissarono il 1° settembre 1511 per la sua apertura. Questo evento fu rimandato al 1° ottobre. Quattro cardinali si riunirono allora a Pisa con le deleghe di tre cardinali assenti. Erano presenti anche diversi vescovi e abati, nonché ambasciatori del re di Francia. Si tennero sette o otto sessioni, nell’ultima delle quali il papa Giulio II fu sospeso, dopodiché i prelati si ritirarono a Lione. Il papa si affrettò ad opporre a questo conciliabolo un concilio più numeroso, che convocò, con la bolla del 18 luglio 1511, per riunirsi il 19 aprile 1512 nella chiesa di San Giovanni in Laterano. La bolla era allo stesso tempo un documento canonico e polemico. In essa il papa confutava in dettaglio le ragioni addotte dai cardinali per il loro conciliabolo di Pisa. Dichiarò che la sua condotta prima della sua elevazione al pontificato era un pegno del suo sincero desiderio di celebrare il concilio; che dalla sua elevazione aveva sempre cercato occasioni per riunirlo; che per questo aveva cercato di ristabilire la pace tra i principi cristiani; che le guerre sorte contro la sua volontà non avevano altro oggetto che il ristabilimento dell’autorità pontificia negli Stati della Chiesa. Poi rimproverò ai cardinali ribelli l’irregolarità della loro condotta e l’indecorosità di convocare la Chiesa universale indipendentemente dal suo capo. Fece loro notare che i tre mesi da loro accordati per l’assemblea di tutti i vescovi a Pisa erano troppo brevi, e che detta città non presentava nessuno dei vantaggi richiesti per un’assemblea di tale importanza. Infine, dichiarò che nessuno doveva attribuire alcun significato all’atto dei cardinali. La bolla fu firmata da ventuno cardinali. La vittoria francese di Ravenna (11 aprile 1512) impedì l’apertura del concilio prima del 3 maggio, giorno in cui i padri si riunirono nella Basilica Lateranense. Erano presenti quindici cardinali, i patriarchi latini di Alessandria e Antiochia, dieci arcivescovi, cinquantasei vescovi, alcuni abati e generali di ordini religiosi, gli ambasciatori di re Ferdinando, quelli di Venezia e di Firenze. Convocata da Giulio II, l’assemblea gli sopravvisse, fu continuata da Leone X e tenne la sua dodicesima e ultima sessione il 16 marzo 1517. Nella terza sessione Matthew Lang, che aveva rappresentato Massimiliano al Concilio di Tours, lesse un atto con il quale l’imperatore ripudiava tutto ciò che era stato fatto a Tours e a Pisa. Nella quarta sessione l’avvocato del consiglio chiese la revoca della Prammatica Sanzione di Bourges. Nell’ottava (17 dicembre 1513) fu letto un atto del re Luigi XII che sconfessava il Concilio di Pisa e aderiva al Concilio Lateranense. Nella sessione successiva (5 marzo 1514) i vescovi francesi fecero la loro sottomissione, e Leone X concesse loro l’assoluzione dalle censure pronunciate contro di loro da Giulio II. Nella decima sessione (4 maggio 1515) il papa pubblicò quattro decreti; il primo di questi sancisce l’istituzione di montes pietatis, o banchi di pegno, sotto stretto controllo ecclesiastico, allo scopo di aiutare i poveri bisognosi alle condizioni più favorevoli; il secondo riguarda la libertà ecclesiastica e la dignità episcopale, e condanna certe esenzioni abusive; il terzo proibisce, sotto pena di scomunica, la stampa di libri senza il permesso dell’ordinario della diocesi; il quarto ordina una citazione perentoria contro i francesi riguardo alla Pragmatica Sanzione. Quest’ultimo fu solennemente revocato e condannato, e il concordato con Francesco I approvato, nell’undicesima sessione (19 dicembre 1516). Infine, il concilio promulgò un decreto che prescriveva la guerra contro i turchi e ordinò la riscossione delle decime di tutti i benefici della cristianità per tre anni.
ALTRI CONCILI LATINIANI.- Altri concili furono tenuti in Laterano, tra i più noti quelli del 649 contro l’eresia monotelita, dell’823, 864, 900 1102 1105, 1110 1111, 1112 e 1116. Nel 1725, Benedetto XIII convocò al Laterano i vescovi direttamente dipendenti da Roma come sede metropolitana, cioè arcivescovi senza suffragi, vescovi immediatamente soggetti alla Santa Sede e abati che esercitavano una giurisdizione quasi episcopale. Sette sessioni furono tenute tra il 15 aprile e il 29 maggio, e furono promulgati diversi regolamenti riguardanti i doveri dei vescovi e degli altri pastori, riguardanti la residenza, le ordinazioni e i periodi per lo svolgimento dei sinodi. Gli obiettivi principali erano la soppressione del giansenismo e la solenne conferma della bolla “Unigenitus”, che fu dichiarata una regola di fede che richiedeva la più completa obbedienza.
H. LECLERCQ